CULTURA E STORIA DI SCANDICCI – La follia di Ercole in una lastra del tardo Trecento scandiccese

30 Ottobre 20205min892
La Follia di Ercole

Nel corridoio che conduce alla canonica della chiesa di Santa Maria a Greve si trova
un architrave in pietra serena, diviso in cinque formelle, quattro delle quali sono
popolate da animali mostruosi e alati che si fronteggiano l’un l’altro (un cavallo, un
leone, un drago e un grifone), mentre quella centrale è occupata da Ercole,
riconoscibile dalla folta barba e dalla leontè che funge da mantello svolazzante, e
Megara, rappresentata mentre porge la mano destra all’eroe e con la sinistra si
strappa i capelli.

La lastra è sorretta da due colonnine non pertinenti, a loro volta poggianti su di un lungo basamento (entrambi i sostegni si possono datare al Seicento), che sembrano provenire da un altare.

Essa è stata descritta per la prima volta dal Carocci nel 1907 e, trent’anni dopo, venne ritrovata in un campo durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio e trasportata al suo interno. È difficile sapere dove si trovasse prima del 1907. Come ho specificato nella mia tesi di laurea, visto il carattere da “arte profana” del manufatto, è probabile che decorasse qualche edificio (fiorentino o scandiccese) e che in un’epoca imprecisata sia stato trasportato dove oggi lo possiamo ammirare.

Creduta negli anni Settanta opera di una bottega romanica, poi assegnata ad un seguace di Nicola Pisano, la lastra è stata da me attribuita allo scultore fiorentino Iacopo di Piero Guidi (notizie 1376-1412), la cui attività fu strettamente legata alla città di Firenze, in particolare ai cantieri della Loggia dei Lanzi e dell’Opera del Duomo.

Stilisticamente parlando il leone alato e la coppia Ercole-Megara presentano delle affinità coi leoncini, le protomi leonine e le figure virili scolpite nelle mensole che sostengono la volta della Loggia, queste ultime rappresentanti la Nobiltà e la Borghesia (anni 1380-90). Il Guidi ha rappresentato Ercole, che intellettuali dell’Età di Mezzo e del primo Umanesimo videro come la somma di tutte le virtù e che nella Firenze medievale era emblema della città che combatteva contro i suoi nemici, in un momento di debolezza, quando è succube della follia inviatagli da Giunone (episodio desunto dall’Hercules Furens di Seneca), con tutte le sue disastrose conseguenze sulla concordia familiare: l’eroe uccide senza pietà la moglie e i figli.

La scelta dell’Ercole furioso non è casuale: tutti gli uomini sono stati e sono talvolta vittime della follia, rappresentata nel nostro caso dai quattro animali alati, abitatori dell’aria, che prendono possesso del corpo del malcapitato, attanagliandogli l’animus e facendogli perdere il senno; il drago e il cavallo simboleggiano gli impulsi sessuali (vedi Aristotele e Guido da Pisa), il leone l’ira (secondo l’interpretazione di Coluccio Salutati) e il grifone la superbia (secondo una leggenda, un altro grande personaggio dell’Antichità, Alessandro Magno, venne punito da una divinità per aver osato salire fino in cielo con un carro trainato da grifoni).

L’architrave avrebbe quindi un valore apotropaico, quello cioè di allontanare gli spiriti maligni dall’edificio che originariamente l’ospitava ed esprime la paura di un cittadino di un comune ricco e ben ordinato per un morbo che priva di senno e distrugge l’armonia familiare, morbo da cui si chiede, come una grazia, di essere protetti, attribuendo all’immagine dell’eroe impazzito il potere di allontanarne la causa.

Infine l’architrave, attraverso i quattro esseri mostruosi, ci racconta della vivacità dei poemi e dei bestiari medievali, un mondo popolato da animali fantastici e spiritelli ai quali si pensa siano affidati il controllo e la trasmissione delle emozioni.

Di Leonardo Colicigno Tarquini, storico dell’arte medievale


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