Garda : Monte Baldo

25 Aprile 20206min1563
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Tra i costoni, le valli, le conche e le doline carsiche del massiccio montuoso schiacciato tra Veneto e Trentino, tra il Garda e l’Adige, non arrancano più i soldati, i muli ei carri della Grande Guerra.

Il Baldo è l’anima alpina del Garda. Il versante occidentale, selvaggio e poco popolato, s’innalza da Torri del Benaco in una ripida arrampicata di castagneti secolari, che soffiano un umido sentore di bosco nella brezza tiepida del lago. Più in alto, faggete e abetaie prendono il sopravvento. L’aspetto quasi mediterraneo, appenninico, sfuma nell’ambiente prealpino e nelle praterie d’alta quota della riserva naturale Lastoni – Selva – Pezzi, una sterminata abetaia che faticosamente s’arrampica in quota, diradandosi a tratti in praterie erbose, conche bruciate dalla neve, radure colorate qua e là dalle macchie fiorite dei cespugli contorti dal gelo invernale. Lungo il tratto settentrionale del Garda, in prossimità di Navene, l’incombente spinta del Baldo schiaccia le rive opposte l’una contro l’atra; la luce si fa tersa e fredda e l’acqua del lago perde la sua cristallina trasparenza azzurra, incupendosi in un blu scuro e profondo. Digradando verso la costa e l’abitato di Brentonico, la montagna rotola giù portandosi appresso i pascoli punteggiati dalle malghe per lo più in rovina, i piccoli borghi grigi, i minuscoli paesi d’atmosfera alpina. Nel corso degli anni, il Baldo è rimasto legato agli antichi assetti territoriali di un ambiente naturale intatto, sdegnosamente appartato e isolato dai flussi dell’incessante turismo gardesano. Purtroppo l’attività umana oggi predominante sulla montagna è il trekking: gli antichi mulini, le fornaci laterizie, le calchere per la produzione della calce, le preare, le cave di marmo dove lavorava la quasi totalità della popolazione locale, e ancora le giassare del ghiaccio, le fontane di pietra scalpellata, i lavatoi in prossimità delle contrade, sono pressocché scomparsi. E con essi la pastorizia e l’artigianalità casearia, un tempo diffusissime. Le malghe hanno smesso di lavorare in proprio il latte, che viene conferito integralmente ai caseifici della pianura: ne restano appena tre o quattro, di quelle antiche malghe, che non hanno rinunciato al duro lavoro dei “baili con casera”.

Durante la Grande Guerra, i sentieri della transumanza (l’alpeggio si trasformarono in strade militari, e le malghe della fascia montana trentina furono circondate da trincee, fortificazioni, gallerie, barricate, forti e baraccamenti di cui ancora oggi sono riconoscibili diversi tratti, che trasformarono il Baldo nella zona più difesa delle Alpi, Il forte del Cimo Grande è uno degli esempi meglio conservati d’architettura militare del Baldo. Prima di arrivare a Spiazzi, nei pressi di Ferrara di Monte Baldo, un viottolo che si stacca dalla via maestra raggiunge, dopo circa un chilometro, il forte addossato al crinale di roccia, sovrastato dal nugolo di antenne e ripetitori che ha scacciato i vecchi cannoni. A pochi minuti d’auto dal forte, il santuario diocesano della Madonna della Corona sembra un monastero della zona greca delle Meteore catapultato direttamente su uno spuntone del Baldo: testimonianza, per una volta non minacciosa, della caparbia volontà dell’uomo di sottomettere e di addomesticare la montagna.

San Zeno di Montagna è il trampolino verso il Baldo per chi vi arriva dal Garda; un intreccio di corti, passaggi e introi con i muri a seregni, i ciottoli morenici della zona collinare impastati nella calce, nascosto tra i terrazzamenti agricoli introdotti dall’aristocrazia terriera veneziana e i fitti castagneti in cui, in autunno, si ammucchiano le rissare, cataste di ricci che si schiudono liberando i frutti.

Proseguendo sulla strada verso la Val Senaga si arriva all’impianto di risalita Prada-Costabella, romantica «bidonvia» d’antan, aliena dalle suggestioni tecnologiche della funivia di Malcesine. L’ascensione è a passo di lumaca, ma gli scorci dell’Adamello e del Brenta, del golfo di Salò e della penisola di Sirmione, delle faggete e delle lontane pinete del Baldo, sono impagabili.

Nonostante le frane e gli smottamenti che periodicamente ne interrompono il tracciato scavato nella roccia, la strada Graziani testa tuttora runica via di comunicazione a costeggiare la dorsale sul tracciato medievale della Via Campiona, che dal primo bacino del lago saliva a Caprino Veronese e s’innalzava sinuosamente a 1500 metri di quota per poi ridiscendere verso le valli trentine. È anche la via privilegiata per tomare verso il lago all’altezza di Brentonico, la cittadina ai piedi del versante trentino del massiccio.

Oltre all’inconsueto museo di palazzo Eccheli-Baisi, che espone una curiosa collezione di fossili del Baldo, custodisce, in riva al torrente Sorne, l’ultimo mulino ad acqua ancora in attività degli oltre mille presenti in territorio baldanese fino al secolo scorso. La mola a pietra e le ruote a cassetta del Mulino Zeni, oltre a rappresentare un pezzo di storia, macinano strepitose farine da polenta, tra cui quella di mais marano vicentino, “bramate” più o meno finemente, all’uso antico.

Un’ultima testimonianza della millenaria presenza umana su questa montagna che si specchia, altera e un po’ scorbutica, nelle acque placide del più grande lago d’Italia.


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