La Corte europea dei diritti dell’uomo “risarcisce” la scandiccese abusata alla Fortezza

28 Maggio 20215min420
Stupro

Un risarcimento di 12mila euro. Questo è quanto la Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) ha stabilito che spetti alla ragazza di Scandicci che sei anni fa denunciò di essere stata vittima di una violenza sessuale di gruppo (sette i responsabili) nei pressi della Fortezza da Basso a Firenze.

In sintesi, la ragazza, all’epoca dei fatti 22enne, raccontò di aver trascorso la serata fino a notte fonda all’interno della Fortezza – era estate e la fortificazione medicea ospitava uno dei consueti eventi della stagione – insieme agli amici di un giovane che già conosceva. Il gruppo la fece bere oltremisura fino a farla ubriacare e al momento di andarsene si prese varie “libertà”, la palpeggiò e una volta all’esterno delle mura la violentò a turno in un’auto. Poi gli stupratori la riaccompagnarono alla sua bici. L’indomani la donna sporse denuncia.

Nel processo che ne seguì, in primo grado i giudici avevano creduto alla ragazza, in secondo grado, invece, agli imputati, che avevano sostenuto che il rapporto di gruppo fosse stato consensuale, indotto e favorito da allusioni sessuali conseguenti all’alcol. Il terzo grado non c’è stato, perché la procura ha rinunciato a fare ricorso e la sentenza di assoluzione degli uomini è diventata definitiva.

Ma adesso ecco la novità: per la Cedu il processo italiano, invece di tutelare i diritti della ragazza, la espose a una nuova forma di violenza – definita “vittimizzazione secondaria” – facendo leva su pregiudizi morali sulle sue scelte di vita e violando l’articolo 8 (che tutela il diritto al rispetto della vita privata e dell’integrità personale) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

«Sono soddisfatta che la Corte europea dei diritti umani abbia riconosciuto che la dignità della ricorrente è stata calpestata dall’autorità giudiziaria» ha commentato l’avvocata Titti Carrano, che ha rappresentato la ragazza, all’epoca dei fatti 22enne. «La sentenza della Corte d’appello di Firenze ha riproposto stereotipi di genere, minimizzando così la violenza, e ha vittimizzato di nuovo la ricorrente, usando anche un linguaggio colpevolizzante. Purtroppo, questo non è l’unico caso in cui la non credibilità della donna si basa sulla vivisezione della sua vita personale e sessuale».

Infatti i giudici di secondo grado non avevano ritenuto credibile la ragazza, sostenendo che la denuncia di stupro era solo il frutto del suo pentimento. Da qui la condanna della Corte Europea, secondo cui nel dibattimento, per ricostruire il contesto dello stupro si citavano particolari in gran parte irrilevanti o addirittura senza senso: il fatto che gli imputati avessero intravisto «gli slip rossi» della ragazza mentre cavalcava un «toro meccanico» su cui erano saliti durante la serata. Il fatto che quella sera avesse avuto un precedente rapporto sessuale consenziente con un barista di un locale della zona. Il fatto che avesse già avuto rapporti sessuali occasionali con il giovane che aveva raggiunto alla Fortezza da Basso e il fatto che in passato avesse avuto una relazione lesbica (la ragazza è apertamente bisessuale).

Ora la Cedu sancisce che i rilievi sulla bisessualità della ragazza, sulle relazioni sessuali occasionali avvenute prima degli eventi e altre scelte di vita privata non dovevano essere usati per giudicare la sua credibilità. E che anzi «interrogarla su questioni personali riguardanti la sua vita familiare, il suo orientamento sessuale e le sue scelte intime, talvolta estranee ai fatti» per «minare la sua credibilità» è «chiaramente contrario non solo ai principi del diritto internazionale sulla protezione dei diritti delle vittime di violenza sessuale, ma anche al diritto penale italiano».

 

 


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