“La musica dell’anima”: intervista al musicista judoka scandiccese Lorenzo Bellini

8 Maggio 20219min1292
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Lorenzo Bellini è un giovane pianista e compositore di Scandicci, la musica è sempre stata una vocazione in cerca di dialogo con quei luoghi profondi e leggeri dell’anima; da tre anni risiede negli Stati Uniti dove studia Performance al Berklee College of Music di Boston, Massachusetts: https://bostonconservatory.berklee.edu/ Formatosi come pianista classico presso la scuola di Musica di Fiesole con il m° Enrico Stellini, si è specializzato oltreoceano nel jazz e nel gospel, studiando con artisti come Neal Smith e George Garzone. Ha registrato e collaborato con vari artisti, tra cui l’icona gospel Dennis Montgomery III, sotto la cui direzione musicale lavora settimanalmente presso la storica Pleasant Hill Baptist Church.

A luglio uscirà il suo primo album, una raccolta di composizioni originali per diversi tipi di ensemble.

Lo ha intervistato Tiziano Bonanni, presidente della scuola d’arte Rosso Tiziano di Scandicci.

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D1: Scandicci è la tua città, sei cresciuto fra cultura e sport: un musicista-judoka è una figura molto particolare, come dialogano fra loro questi diversi aspetti della personalità?

 R1: Musica e Judo, come espressioni artistiche, comunicano in vario modo bellezza e armonia. Di questo aspetto è facile innamorarsi sempre di più, man mano che si cresce e se ne fa esperienza e pratica. Uno dei principi fondanti del Ju-do (“via della cedevolezza”) è il Seryoku Zenhyo, “il miglior uso dell’energia”. Questo concetto, che nella pratica sportiva corrisponde alla ricerca del metodo più efficace ed elegante per sfruttare il movimento dell’avversario a proprio vantaggio, si trasforma facilmente nell’idea di un’utilità reciproca e progresso comune tra i judoka: il Ji ta kyò ei  appunto, “progredire insieme agli altri”. Nel fare musica con più persone, in ogni stile, la capacità di ascoltare e interagire in maniera efficace con gli altri durante una performance è cruciale per far sì che “suoni bene” all’orecchio del pubblico. Mi ritengo fortunato nell’aver avuto maestri che, insieme alla ricerca di bellezza e armonia, hanno posto questo aspetto pedagogico al centro della mia crescita, nella musica e nel judo che ho praticato, a Scandicci, con Luciano Bertaccini e Alvaro Montigiani. Da tre anni ormai vivo nel paese dove il Jazz e il Soul/Gospel si sono plasmati e diffusi; in questo contesto la componente di adattabilità è intesa anche come senso di equilibrio tra la personalità artistica e il rispetto verso un linguaggio musicale di cui non sono nativo.

D2: La musica è per te nutrimento per l’anima e perciò hai deciso di intraprendere un percorso di studi negli Stati Uniti. Stare lontani dai propri familiari e amici non è semplice, soprattutto in tempi di pandemia come i nostri con disagi maggiori per tutti, raccontaci in breve come stai vivendo questo momento e quanto è importante per te?

R2: Lasciare stabilmente l’Italia tre anni fa per studiare musica negli USA è stato un grosso passaggio, con la sua dose di paura e incertezza. C’è voluto del tempo per stabilizzarsi e realizzare il tipo di percorso che sto facendo. Berklee è una scuola radicalmente internazionale, in cui si è ogni giorno a contatto con studenti e professori da tutto il mondo, condividendo progetti, performance live, registrazioni in studio. È un ambiente entusiasmante in cui si ha l’impressione di non fermarsi mai. Lo scorso marzo, la pandemia ha bruscamente interrotto molte delle mie attività da performer (che ora stanno lentamente riiniziando); mi ha però dato modo di ripensare al percorso fatto fino ad ora, alle esperienze vissute e alla direzione intrapresa. Per molti musicisti, me compreso, è stato – ed è – naturale domandarsi che senso avesse studiare, comporre o insegnare, nel bel mezzo di un’emergenza come questa. Il fatto è che l’arte è un’espressione prettamente umana e in quanto tale è, come dici tu, nutrimento dell’anima, non solo per chi la fa. Spesso non ci rendiamo conto di quanto la nostra vita sia abitata e colorata dalla musica; in questo tempo di restrizioni, la musica sfonda le pareti delle nostre stanze e rende possibile il viaggio fuori e dentro di noi, attraverso emozioni a noi familiari o sconosciute. Se da una parte vivere lontano da casa in quest’epoca è cosa diversa rispetto a trent’anni anni fa grazie a internet, dall’altra la lontananza fisica dalle persone a cui si vuol bene si sente. Sono profondamente grato alla famiglia che ha sostenuto questa mia scelta, accogliendo tutte le difficoltà e l’incertezza che ha comportato. E poi ci sono gli amici, quelli conosciuti qui e quelli di sempre, per cui la distanza non è altro che un tempo per accumulare storie da raccontarsi un giorno davanti a una birra.

D3: Quali sono i tuoi obiettivi futuri nella musica?

R3: Passata la laurea durante l’estate, il primo progetto in cantiere è la pubblicazione, a luglio, del mio primo album, la cui produzione è quasi ultimata. Si tratta di una raccolta di composizioni originali, registrate con alcuni dei miei musicisti preferiti conosciuti qui a Boston. Ho cercato di far confluire sfumature degli stili per me più attrattivi, dove il pianoforte è l’elemento comune. Quando l’industria ripartirà, sarò pronto e felice di presentarlo dal vivo in diverse occasioni. Per il futuro, ho tante destinazioni in mente. Un obiettivo è sicuramente quello di mettere in pratica ciò che ho imparato in questi anni: amo la vita in studio e l’idea di lavorarci o di tirarne su uno tutto mio mi elettrizza. Come ogni musicista continuerò poi a studiare. Al di là delle istituzioni accademiche, non si smette mai di conoscere ed esplorare la musica, una materia che per sua natura continua a trasformarsi con e attraverso l’uomo.

 

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