L’AVVOCATO RISPONDE – Quando il lavoratore rifiuta il vaccino: conseguenze e linee guida

6 Maggio 20217min1030
vaccinocovid

I tanto attesi vaccini anti Covid-19, portatori di speranza nel poter rivedere la luce dopo un anno estremamente critico, sono arrivati accompagnati da timori e talvolta rivolte a causa di recenti decessi avvenuti a seguito della somministrazione di AstraZeneca (comportando la loro sospensione in Italia ma anche in altri paesi europei).

Tuttavia, nonostante l’EMA abbia confermato la sicurezza del suddetto vaccino e l’Italia dal 19 marzo abbia ripreso le somministrazioni, le preoccupazioni non si sono mai placate.

Pertanto, con il presente articolo tenteremo di far conoscere le conseguenze alle quali si potrebbe incorrere in caso di rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione in questione in riferimento ai lavoratori c.d. “no vax”.

Premettendo che l’art. 32 della Costituzione, al secondo comma, stabilisce che “nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, si evidenzia che, ad oggi, non è stata emanata alcuna disposizione legislativa che renda obbligatoria la vaccinazione contro il Covid – 19.

Tuttavia, quanto disposto dall’art. 32 della Costituzione deve essere analizzato unitamente ad altre disposizioni riferite ai lavoratori ed alla loro salute: nello specifico, l’art. 2087 codice civile obbliga l’imprenditore ad adottare misure salvaguardanti l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti e, tale norma, è suffragata dall’art. 20 del Testo Unico sulla Sicurezza Sul Lavoro (D. Lgs. 81/2008) il quale dispone che ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza.

Orbene, dalla lettura combinata dei sopra citati articoli si evince che, sebbene non sia stata prevista l’obbligatorietà a sottoporsi a trattamenti sanitari, tuttavia il datore di lavoro è tenuto a garantire ad ogni lavoratore un ambiente di lavoro sano e sicuro ed il lavoratore, a sua volta, deve agevolare tale condotta.

Pertanto, laddove il lavoratore non intenda vaccinarsi, quali possono essere le soluzioni adottabili dal datore di lavoro?

– Una delle soluzioni adottabili, ai sensi dell’art. 279 T.U.S.L. comma 2 lettera B) è l’allontanamento temporaneo del lavoratore a rischio: quest’ultimo potrà essere reintegrato solo in totale sicurezza ed in assenza di contagio Covid- 19 (resta inteso che se la decisione di non vaccinarsi è dipesa da futili motivi e non da reali patologie, al lavoratore non spetterà alcuna retribuzione per il periodo di allontanamento).

– Altra soluzione potrebbe essere quella di spostare il lavoratore che intenda rifiutare la somministrazione del vaccino in altro reparto, adibendolo a mansioni equivalenti oppure inferiori;

– Ulteriore ipotesi potrebbe essere quella di valutare il licenziamento per motivi oggettivi laddove il demansionamento o lo spostamento in altro settore non sia possibile: quest’ultima decisione è tuttavia rischiosa in relazione all’attuale blocco generalizzato dei licenziamenti ed inoltre il lavoratore, per contro, potrebbe impugnare lo stesso licenziamento chiedendo la reintegrazione ove dimostri di non essere stato tutelato dal suo datore di lavoro.

Peraltro, recentemente, anche la Giurisprudenza si è espressa in materia legittimando la collocazione in ferie forzate ( e nel caso specifico retribuite) di 10 infermieri “no vax” dipendenti di una RSA che avevano rifiutato di sottoporsi alla immunizzazione (Tribunale di Belluno, ordinanza 19 marzo 2021).

Di fondamentale importanza, in merito all’argomento trattato, è stata la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale, con sentenza n. 116/ 2021 dell’08 aprile 2021 ha riconosciuto come “necessaria in una società democratica” la vaccinazione obbligatoria ex lege.

La stessa Corte, inoltre, per legittimare la vaccinazione obbligatoria, ha esplicitato la necessità di una Legge nazionale che preveda un risarcimento in caso di danni alla salute: tuttavia – trattandosi di una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo emessa in seguito all’esame di un caso sottoposto da alcuni genitori originari della repubblica Ceca per l’ammissione dei propri figli in una locale scuola dell’infanzia – la questione è ancora lontana da una risoluzione definitiva posto che, ai sensi dell’art. 46 CEDU le sentenze della Corte di Strasburgo sono vincolanti esclusivamente per le parti in causa.

É importante precisare che le autorità Giudiziarie italiane saranno vincolate a decisioni di autorità internazionali solo se trattasi di diritto consolidato o di una sentenza pilota (come previsto dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 49/ 2015).

Pertanto, ad oggi, i lavoratori che si rifiutassero di immunizzarsi con il vaccino anti Covid 19 in assenza di patologie comprovate rischierebbero una sospensione (anche senza retribuzione) oppure uno spostamento o demansionamento.

Avv. Chiara Caciolli


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