VIAGGI A COLORI – Vulcano e Lipari

31 Marzo 202114min804
vulcano

Respirate profondamente. Non tappatevi il naso, potrebbe venire spontaneo quando, scesi dall’aliscafo, avvertirete il penetrante odore di zolfo. È Vulcano che vi dà il benvenuto e come ogni saluto, dura solo qualche istante. Poche inspirazioni, infatti, e non sentirete più nulla.

Più duraturi sono invece i benefici che questa piccola terra emersa regala a chi viene per scoprirla. Partendo da Milazzo è la prima dell’Arcipelago delle Eolie sette isole disposte l’una vicina all’altra nel Mar Tirreno che costituiscono la parte emersa di un vasto complesso vulcanico, per lo più sottomarino, esteso su circa 200 km quadrati e formatosi oltre un milione di anni. Qui, come anche a Lipari e a Stromboli, l’attività non è mai cessata mentre nelle altre isole non si registrano eruzioni da almeno 5.000 anni.

L’isola non è che una parte di un grande apparato vulcanico costituito da cinque edifici originari: il Vulcano Primordiale, la Caldera del Piano, Lentìa, la Caldera della Fossa e Vucanello. Per millenni questa terra non doveva certo apparire tranquilla e verdeggiante come oggi. Piuttosto dalle sue viscere, i crateri lanciavano fiammeggianti bagliori, sputavano macigni e ceneri, emettevano cupi boati. Per questo la chiamarono prima Thermessa, la calda, e poi Teràsia, calda terra e ancora, in epoca successiva, Hierà, la sacra fucina di Efesto dove, infaticabili, i Ciclopi forgiavano i fulmini per Giove.

Quando arrivarono i Romani che chiamavano Vulcano il dio greco, la terra prese per sempre questo nome e a sua volta lo diede a tutte quelle aperture naturali attraverso cui il magma sale per riversarsi in superficie. Proprio i Romani assistettero alla spettacolare nascita di Vulcanello (123 m) che, dopo essere emersa bruscamente dall’acqua un mattino l’alba del 183 a- C., fu lentamente catturata dall’isola madre: impiegò 1.700 lunghi anni per ricongiungerla a sé sputando ininterrottamente dalla a sabbia nera che ora copre la spiaggia di Tenente.

Fino al Settecento, Vulcano era disabitata. All’inizio dell’ottocento fu invece il generale borbonico Nunziante a sfruttarla per le sue risorse di zolfo e allume; solo allora furono costruite le prime case e strade. E così fiorì l’industria di estrazione che si avvaleva della manodopera dei confinati reclusi a Lipari: nel 1848 erano 400 i prigionieri impiegati nella cosiddetta “fabbrica”. Dopo la caduta dei Borboni (1860) la parte nord dell’isola fu acquistata nel 1870 dallo scozzese James Stevenson che qui piantò i primi vigneti. Uomo eclettico e di grande cultura, U’nglisi (l’inglese, così la gente del posto chiamava l’illustre forestiero) ebbe il merito di trasformare una terra borbottante e imprevedibile in un fertile giardino generoso di fichi, uva e alberi da frutto, con ampie strade e lunghi viali. Inaspettatamente, però, il 3 agosto 1888 la Fossa ricominciò a eruttare senza tregua fino al 1890 quando, perso ormai gran parte del lavoro sotto la cenere, Stevenson decise di andarsene per sempre partendo a bordo del suo Fire Fay a vapore. Sull’isola rimasero poche famiglie, tre delle quali acquistarono nel 1908 le terre dell’inglese pagandole ai suoi eredi 90 mila lire.

Chi andava a Vulcano negli anni Sessanta dice che ha perso la sua bellezza selvaggia, ma chi la vede oggi per la prima volta resta ammaliato dalle rocce cromate dove le tonalità dorate dello zolfo e candide dell’allume s’insinuano nella lucida ossidiana nera e nelle rocce venate di rosso dal ferro. A pochi passi dal porto d’attracco, il faraglione di Levante sfoggia, in abbaglianti contrasti di colore, le sue ricchezze minerali. Da ogni sua crepa escono vapori sulfurei. Più affascinati dal miraggio della saIute che dalla bellezza del luogo, migliaia di persone sbarcano qui ogni giorno per fare l’aerosol allo zolfo, oppure per immergersi nella pozza dei fanghi, proprio di fianco, e cospargersi il corpo di una miracolosa maschera naturale che rende la pelle vellutata e cura i maIanni, stagionali e cronici. La chiamano anche il “Mare che bolle”, così come quello che lambisce la spiaggia di fronte dove l’acqua, spinta dai soffi caldi della terra turbolenta, è sempre tiepida.

Lungo la strada che porta alla baia di ponente crescono i cespugli di giunco che gli artigiani del posto intrecciano per fare le nasse, gabbie usate per pescare gamberetti e pesci di piccole dimensioni, pochi minuti a piedi separano il porto dalla spiaggia delle Sabbie Nere. Appena il sole si alza, i minuscoli granelli si arroventano e bisogna correre fino alla battigia per immergere i piedi nell’acqua fresca, al più presto. Questa è una delle spiagge più belle di Vulcano anche se d’estate è troppo affollata per cogliere appieno il suo fascino scenografico.

Vulcano infatti, come tutte le altre isole dell’arcipelago eoliano, è bella soprattutto prima e dopo il “tutto esaurito” dei mesi di luglio e agosto. Il clima è mite sei mesi all’anno e, a chi non apprezza il brivido di un bagno fuori stagione, resta la possibilità di immergersi nelle acque calde della pozza dei fanghi.

Ci sono diversi modi per girare l’isola: in barca, compiendone il periplo, a piedi, in auto, in autobus. Attraversando l’isola da un capo all’altro, cambia la prospettiva sul resto dell’arcipelago dalla Valle dei Mostri, a Vulcanello, tra le statue di lava rossa e nera forgiate dal vento e disposte sulla finissima sabbia scura, si distingue nettamente il profilo del Cardinale di roccia seduto sulla costa della dirimpettaia Lipari, mentre da Capogrillo, quando il cielo è sereno, si vedono anche Stromboli, Panarea, Salina, Filicudi e, al limite dell’orizzonte Alicudi.

Per arrivarci si oltrepassa la valle della Roia che i buoni camminatori possono percorrere fino al mare seguendo il letto di lava scavato dalle acque del torrente tra ripide pareti di roccia. Anche al Piano si può arrivare a piedi. Sul cratere spento è stata cancellata dall’uomo ogni traccia della passata attività vulcanica. Belle ville, rigogliosi giardini e opulenti frutteti occupano ora la voragine depressa che migliaia di anni fa era fucina degli dèi. La sua terra è così fertile che oltre a ginestre, gelsi, noci, castagni, peschi, vi cresce il Cytisus eolicus, una rarissima pianta i cui semi impiegano tre anni prima di germogliare. Infine, chi viene ospite su quest’isola, deve rendere omaggi o alla reggia del dio Vulcano. In un’ora si arriva in cima al Gran Cratere (391 m) un imbuto tempestato di cristalli di zolfo e colmo di frammenti di ossidiana, con bocche ancora fumanti e un’incomparabile vista sulle Eolie.

Soltanto 800 metri separano Vulcano da Lipari: da porto a porto la distanza è maggiore, ma in aliscafo si traduce in dieci minuti, comprese le operazioni di attracco. Non appena sbarcati sulla Marina Corta, sarà difficile non notare bande di ragazzini in costume da bagno che, gridando “Grazie, capo” a chi lancia manciate di monetine in acqua, si tuffano dalla banchina per recuperare qualche centesimo prima che si perda sul fondo.

La più grande e popolosa dell’arcipelago, è anche la più complessa dal punto di vista geologico e dell’attività Vulcanica, l’ultima delle quali fu la colata ossidianica delle Rocche Rosse nel 700 d. C.

Quasi un quarto del territorio è occupato dalle cave di pomice che, prima di essere esportata in tutto il mondo, viene separata dai lapilli, ovvero dalla polvere sottilissima che resta accatastata in alte dune bianche e di qui scivola continuamene fino al mare conferendo alle acque delle spiagge di Porticello e della Papesca un indimenticabile color turchese. E non finiscono qui le ricchezze dell’isola. Fumarole, solfatare e acque ipertermali caratterizzano il suolo. Di fianco alla sorgente che sgorga a 60 °C a San Calogero, sul perimetro di una tholos micenea (XV secolo a. C.), i Roman costruirono una grotta sudatoria poi annessa allo stabilimento dei bagni, aperto nel 1867 e ogg chiuso nonostante i restauri.

Le dimensioni dell’isola e la sua viabilità si prestano alle escursioni in auto. Per esempi lungo la strada che da Lipari porta prima a Canneto – la piccola frazione balneare con il lungo arenile di baia Unci- e poi, finisce al vulcano spento della Forgia Vecchia. Oppure, proseguendo dritto, attraversale colate delle Rocche Rosse e arriva alla spiaggia di Acqua calda per inerpicarsi infine lungo i fianchi del Monte Chirica. E di lì, guardando Salina in una cornice di colori mediterranei, si giunge a Quattropani dove comincia la campagna con i campi coltivati a vite. Superata la piccola fraziona Chirica Rasa, una strada conduce alle miniere di caolino a Bagnosecco, ormai abbandonate, e alle fumarole, ancora attive: da qui l’escursione può continuare a piedi fino al vallone sottostante, solitario quanto selvaggio.

Partendo da Lipari in direzione opposta, la strada conduce all’osservatorio di San Salvatore dove gli scienziati controllano a vista, 24 ore su 24, l’attività eruttiva di Vulcano e di Stromboli; da lì parte anche un breve sentiero, che si intravede appena tra la fitta macchia mediterranea, profumata di fiori di camomilla e di rosmarino selvatico: dieci minuti e si arriva allo scoglio del Cardinale che precipita drasticamente a strapieni sul mare.

Tornati a Lipari, il centro storico si gira in poco tempo. Dopo una sosta all’antica pasticceria Subba, fate un salto a vedere il museo etnografico allestito con instancabile passione da Edoardo Bongiorno all’interno dell’Hotel Oriente. Centinaia di arnesi di lavoro sono appesi alle pareti o disposti negli spazi comuni: aratri, macine, ruote, strumenti di mastri bottai, gelatai, orafi e, nel giardino, quattro sarcofaghi gtrovati nella sottostante necropoli di Diana, una delle più antiche della Sicilia, dove sono state ritrovate 3.000 tombe con i loro corredi funerari, in parte esposte al Museo archeologico regionale eoliano, situato all’interno della fortezza. Ci si arriva prendendo la ripida vìa XXIV Maggio da Corso Vittorio Emanuele. All’ingresso delle mura spagnole, costruite nel ‘600 attorno all’antica acropoli, ora fanno la guardia i bambini che giocano a nascondersi o vendendo souvenir di ossidania improvvisando le loro bancarelle sui muretti e sui marciapiedi della fortezza.

Entrando nel museo, al secondo piano, c’è una collezione di terrecotte a soggetto teatrale che testimoniano, a Lipari il culto di Dioniso, dio della commedia e delle beatitudini ultraterrene: in una irresistibile sequenza di espressioni umane, si riconoscono Papposileno, i buffi satiri con le orecchie equine, le audaci eroine delle Ecclesiazuse di Aristofane, e poi ancora l’inquietante Lenone della commedia di Menandro che storce le labbra e aggrotta la fronte.

Lasciato il museo, solo dopo aver ammirato le straordinarie ceramiche policrome del Pittore di Lipari (290 – 270 a.C.) la visita continua all’esterno, dove sono visibili le tracce dei cinque millenni ininterrotti di storia dell’isola, dal Neolitico fino a quando la fortezza ospitò la prigione dove furono confinati i politici prima di fuggire nel 1929 aiutati dalla gente del posto, Carlo Rosselli, Emilio Lusso Francesco Nitti. All’interno delle mura ci sono 5 chiese, tra cui la cattedrale barocca a San Bartolomeo con il monastero benedettino-normanno di cui è stato riscoperto il piccolo chiostro nel 1979, e un parco archeologico sospeso sul mare, dove, sotto le fronde dei pini marinisi trova riparo dalla canicola: tutti i giorni, dalle 2 alle 4 del pomeriggio le brezze del maestrale portano un po’ di sollievo e profumo all’aria miscelando nel loro alito aromi di agave, fico d’India, capperi, salsedine e sole. Quando è ora di tornare in paese, si discende la scalinata che porta in via Garibaldi, la strada ricca di negozi che termina proprio nella piazza della Marina Corta.


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