INCONTRI DI PSICOLOGIA – La diffusione della responsabilità e l’assassinio di Kitty Genovese

19 Maggio 20217min1041
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La diffusione della responsabilità e l’assassinio di Kitty Genovese (seconda parte)

Riassunto della prima parte (qui la prima parte integrale): siamo in un’azienda di dimensioni medio-grandi e puntualmente, durante il consueto quarto d’ora di pausa, il personale si ritrova a prendere il caffè ai distributori automatici di bevande calde. Qualcuno si lamenta che il caffè preso alle “macchinette” provoca qualche maldipancia, il disagio si scopre più condiviso del previsto e la discussione si protrae per giorni con varie proposte fino a quella di sostituire l’uso dei distributori con l’acquisto di una macchina a cialde per l’espresso. Passano settimane e, contrariamente a quanto previsto, il personale sembra non ricordare di voler acquistare la nuova macchina per l’espresso, continuando a prendere il caffè ai soliti distributori con regolarità e consueti disturbi gastrointestinali. Le lamentele periodicamente si ripresentano ma quella che sembrava un’idea approvata all’unanimità sembra essersi trasformata in una manifestata indifferenza verso qualsiasi proposta alimentando delusione e sfiducia.

 

Un’ordinaria sera di inverno del 2020 a Firenze, Linea Tramviaria T1. Il pomeriggio è ormai terminato, si inoltra la sera e il buio si propaga fuori dalle vetture occupate, ma non gremite, da un discreto numero di passeggeri.

Un signore di media altezza dalla folta barba bianca, da una postura stanca ma da una corporatura robusta, sembra attendere la sua fermata a bordo del tram. I suoi occhi sembrano improvvisamente sofferenti: gli spazi tra essi e le guance si stringono, i solchi ai bordi si marcano quasi fino alle tempie, gli angoli della bocca si flettono verso l’alto, ma nessuno sembra accorgersene.

Quel maledetto 9 marzo in cui l’Italia conosce per la prima volta il lockdown deve ancora arrivare e la mascherina sul volto, indossata solo da qualche turista giapponese, è ben lontana da essere una costrizione sociale di massa.

Sembra ormai evidente che quel signore intenda uscire dalla vettura alla prossima fermata appena aperti i portelli. Ma l’esteso cappotto color crema che copre l’anziano di spalle non è sufficiente a mascherare un serio imprevisto: l’uomo non sta cercando di uscire ma di aggrapparsi ad un qualunque appiglio presente sulla parete in prossimità della porta. Neanche stavolta nessuno sembra accorgersi di quanto stia accadendo. Dopo pochi istanti l’uomo si piega in avanti sulle proprie ginocchia e rapidamente si accascia al suolo. Qualcuno getta un’occhiata a quel signore ormai quasi sdraiato al suolo del tram mentre il suo volto e la spalla sinistra si avvicinano al pavimento. Altri passeggeri gettano altre occhiate, qualcuno lo fissa ma pochi trattengono lo sguardo sulla persona. Passano secondi che sembrano interminabili. L’uomo sembra ormai privo di sensi. Qualche sguardo incuriosito, qualcun’altro diretto fuori dal finestrino. O in qualunque altro punto della vettura che non contempli lo spazio occupato dal malcapitato.

13 marzo 1964, prime ore del mattino. Kitty Genovese (nella foto) stava tornando a casa da lavoro e, mentre stava percorrendo la breve distanza tra la sua automobile e l’edificio dove viveva nel quartiere di Queens a New York, viene assalita da uno sconosciuto. L’aggressore la pugnala ripetutamente ma sembra fuggire quando le grida di Kitty fanno accendere qualche luce alle finestre dell’abitazione adiacente. Un falso allarme, quello delle luci, perché tornata la calma l’assalitore riprende la sua aggressione pugnalandola diverse volte. In fin di vita la donna viene violentata, derubata di 49 dollari e lasciata agonizzante nell’androne. Il tutto in circa mezz’ora.

Secondo le perizie, le ferite di coltello alle mani lasciavano intendere che Kitty avesse cercato di difendersi. Quando Kitty gridò, le sue urla furono udite da molti vicini ma poche furono riconosciute come richieste di aiuto. In base alle registrazioni, le telefonate fatte alla polizia risultarono confuse e la polizia stessa non dette molta priorità alla faccenda. Ma una di queste fatta da un testimone, Karl Ross, sembrò decisiva: forze dell’ordine e personale medico si recarono sul posto entro pochi minuti facendo in modo che la ragazza fosse portata via in ambulanza.

Kitty morì nel tragitto in ospedale.

Un primo articolo giornalistico del New York Times parlò di 38 testimoni che avevano avuto modo di assistere all’aggressione ma la maggior parte di essi sembrò non rendersi pienamente conto di quanto stesse accadendo. Le indagini ridimensionarono i testimoni a “una dozzina di persone”. Tra questi, uno solo risultò pienamente consapevole che Kitty Genovese fosse stata pugnalata già nella prima fase dell’accaduto.

Il colpevole, Winston Moseley (nella foto di copertina), fu catturato in concomitanza con un altro crimine. Moseley rilasciò una confessione alla polizia in cui espose minuziosamente l’aggressione a Kitty con il semplice movente che lo aveva fatto “per uccidere una donna”. Confessò altri due delitti a sfondo sessuale. Fu dichiarato colpevole di omicidio e condannato a morte.

La condanna a morte fu successivamente convertita in carcere a vita.

Perché i vicini non intervennero salvando Kitty Genovese?

(segue terza e ultima parte)

Dr. Mirko De Vita

(Docente e formatore, specialista in Psicologia sociale e cognitiva)


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